“Good Turkey, you made a great job! Nice speech…let’s find a way together, ok?”
“Turkey?You have to cooperate with G77+China!”
“Turkey...definetely with us!!”
Io sono la Turchia. Ed ho fatto a quanto pare un discorso “invitante”.
La simulazione di una seduta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Una mock session oggi, giusto per rodare il meccanismo. La prossima volta si fa sul serio.
E’ tutto un “Honorable chairman, distinguished delegates”. Che sarà anche una simulazione,ma la più verosimilmente verosimile, eh? Un regolamento redatto dai due segretari e tanto di lettera di accredito firmata dal Ministro degli Esteri e dal presidente della Repubblica del nostro paese mandatario.
Ogni discorso non può superar i 3 minuti. A 2 minuti e 30 risuona il tempo. Chi non vi rientra è interrotto bruscamente. Le regole prima di tutto.
Prenoto il mio intervento con una semplice alzata di mano. L’Assemblea è riunita in via di un episodio di grave entità, l’attentato ad Azzam Ahmad, Primo Ministro del nuovo governo palestinese, ucciso in occasione di una visita pubblica ad una scuola locale.
Ovviamente ciò non è accaduto per davvero. E’ solo una diavoleria del prof. Zlatko Sabic. Una situazione tipo che richiede una seduta d’emergenza.
La condanna del gesto è unanime. Gli interventi si fanno numerosi; la preoccupazione per le sorti di una pace così pericolosamente destabilizzata si fanno crescenti.
Molti si dichiarano allarmati, altri confidenti nel fatto che un gesto del genere non comprometterà i risultati raggiunti finora. Decido con il gruppo di paesi dell’OIC -Organizzazione della Conferenza Islamica- di intervenire. “E’ necessario che i paesi islamici intervengano, la nostra posizione sarà fatta oggetto di disanima efferata da parte degli altri Stati”e se arriva a dirlo persino Iran sarà meglio dargli retta!
Io ho un discorso pronto, avevo buttato giù degli appunti a casa, lette varie risoluzioni precedenti dell’Assemblea e note del Ministero degli Affari Esteri in merito. Concordo il mio intervento.
Guardo con aria di approvazione i miei due vicini di seduta:Tunisia a sinistra, Uganda a destra e mi avvio al palco. La posizione della Turchia come potrete immaginare è tra le più complesse sulla scena internazionale. Questo paese guidato da un partito islamico, eppure secolare, con un esercito garante della costituzione, un occhio agli Stati Uniti e l’altro all’Unione europea, che svolge un ruolo “pivot” tra Occidente ed Oriente per tutte queste caratteristiche così come per altre che vanno dalle condutture energetiche, alla navigabilità dei Dardanelli. Senza mezzi termini decido di dar una connotazione ambiziosa ai miei interventi, volendo far della Turchia la portavoce dei paesi Islamici. E subito ne faccio la benefattrice delle sorti della pace tra Israele e Palestina. Impegnata in prima linea nelle trattative tra i due paesi così come tra Hamas e Al-Fatah, la Turchia ha credibilità internazionale, ma l’ascesa al governo di un partito neo-islamico ha suscitato perplessità in ambito internazionale. Così il mio intervento rianima gli storici alleati, ma allo stesso tempo strizza l’occhio ai paesi islamici mediorientali. Questi hanno trovato la loro voce. Un paese progredito, industrializzato, in via di molte cose…forse anche troppe. Non voglio regolarmi, anzi…voglio incuter timore. Un filo di onnipotenza da abuso di potere non potrà che giovarmi! Ataturk sento che approverebbe…e anche se non approva, non dovrebbe risorgere per farmela pagare.
Puntiamo a sedere al tavolo delle trattative: “Che questa pace si faccia con l’intervento dei paesi limitrofi e che non sia imposta dall’alto”. Il Medio Oriente può e deve esser coinvolto nelle dinamiche che lo riguardano, non vuole più restar a guardare. Partecipare. E’ questo che chiede. Con le risorse che possiede, con quell’apporto culturale, territoriale, cognitivo che possiede e che lo rende un mediatore imprescindibile.
Scoccano i due minuti e trenta. Mi accingo a terminare. Son aperta a domande eventuali. Nessuno le pone.
Sguardi di approvazione dagli amici: Israele, Mozambico, Filippine, Iran, Ucraina.
Siedo. Prendo appunti con una certa soddisfazione.
Terminano le due ore.
La mock session è conclusa. Oggi è il 23 aprile. Ci attendono due settimane di vacanze.
Mi attendon 5 giorni a Budapest. Stasera arriva la mia cara C.C.
Ed è semplicemente una gran giornata.
Risate. Progetti. Complimenti reciproci.
“Turkey enjoy your holydays,ok?”
Lo farò! Eccome!!! Non poteva iniziar meglio lo spring break.
Ci dirigiamo all’autobus in massa.
“Pranzo assieme?”
Cantina mexicana!Yeah!!!
Peter, Finn, Sarelle, Sean ed io montiamo sull’autobus. Il solito trambusto. Solo posti in piedi.
Anne mi aspetta al Bavarski dvor. La vedo. Lei è in bici.
Dall’autobus le faccio segno di proseguire.
“I’ll step down at the next stop. At Posta.”
Solo che io alla fermata Posta non ci arrivo. A metà Slovenska cesta un taxi ci taglia la strada.
L’autobus inchioda. Ed io sperimento la fantascientifica sensazione di librarmi in volo e schiantarmi contro la cassetta dei žetoni e il divisorio dell’autista.
Sbatto la fronte. Urto violentemente la spina dorsale. La borsa tra le gambe. Gli occhiali volano nell’angolino vicino alla porta.
Ed io non penso ad altro se non che quello è l’ultimo istante della mia vita.
Un volo in un autobus a Lubiana.
E penso alle cose che devo ancora fare. Ed è vero. In un istante dilatato all’infinito va in scena il trailer della tua vita. Solo per te.
Chiudo gli occhi. Mi chiedo se sia accaduto davvero. Se non lo abbia sognato.
Il brusio degli amici attorno. Li riapro. Dolori ovunque o quasi.
Testa. Schiena. Braccio.
L’apprensione degli altri. Lo spavento del volo sui loro visi.
“Like Frida Kahlo!My God i can’t believe you are fine! It has been terrifying…”
“Non ho perso conoscenza, no!”
Posso muovere tutto. Sento tutto
L’ambulanza in arrivo ad esempio.
Sulla portantina. Avvolta in coperte. Il freddo del metallo. Il corpo teso come un lenzuolo da ripiegare.
Ogni movimento è epico. Una Iliade muscolare in fieri.
Mi attendon due ore di attesa al Pronto soccorso e una serie di vari raggi x per appurar che nulla sia rotto. Resto stesa. Mi scannerizzano così. Alzarmi in piedi mi sembra tanto facile quanto arrampicarmi sull’Empire State Building con tutta la nazione americana come zavorra.
Nulla è rotto. Finn e Sarelle sono con me. Attendono e parlan di Grey’s Anatomy come di Novella 2000. Non capisco un cazzo già normalmente di quello che dicono, vi figuro con una testa pulsante che ulula in italiano, per non dire in dialetto monopolitano, epiteti coloriti alle società di autobus non solo slovene, ma di tutto il mondo riunite (sì perché in quanto autobus son da vituperare, chiaro!Mezzo di locomozione del demonio!!).
Son mezza nuda su di un lettino in piena corsia. E potrei disperarmi, legittimamente.
Invece penso all’assurdità del tutto. Al fatto che a me accadan sempre cose inenarrabili. Mai un mal di testa. Una influenza banale. Per me solo roba spettacolare! E giù battute in un inglese sconquassato. Sono sempre io. Io che non riesco proprio a buttarmi giù. Neanche su di un lettino d’ospedale.
Arriva Manca la mia coinquilina. Parla italiano. Mi aiuta coi dottori. Proviamo a capirci.
Provano a curarmi.
Oddio che dolore!!!Non riesco neanche a mettermi seduta da sola.
La schiena è un fascio di fitte lancinanti. La cura sarebbe imbottirmi di antidolorifici, pregar che qualcuno mi faccia qualche massaggio, applicar ghiaccio sul bozzo in fronte e due giorni di assoluto riposo. Se ho nausee o altro ripasso magari a trovarli.
Sono le 20 e C.C. è appena arrivata in stazione. Giustamente pensa che la sua cara amica le stia tirando uno dei suoi consueti scherzi: “Mi trovo all’ospedale. Ho avuto un incidente. Potrei far un po’tardi. Potrebbe venire Anne a prenderti ”.
Decide divertita e perplessa per l’aspettarmi.
Pago il mio conto colla sanità slovena(qualche giorno fa m’hanno fregato il portafogli colla tessera sanitaria dentro!Su di un autobus, ovviamente!!!Giorni in cui alla società di trasporti saranno fischiate le orecchie…strano!?) esco colle mie gambe dal Pronto soccorso, il che mi sembra notevole, ed in una processione che mi vede in testa, con al seguito amici e coinquiline timorose che non mi accada null’altro, sotto l’onda di una mitragliata di prediche, stai attenta e non affaticarti, abbozzo un mezzo sorriso e a passo decisamente incerto, euforica come fossi sotto eroina invece che eparina, mi faccio strada. Mi lascio alle spalle una serie di teste scosse da un NO diffuso. Negli occhi un fantomatico“Quanto durerà?”che faccio finta di non aver visto.
Col rotolo dei miei raggi sottobraccio, andatura ciondolante, posizione semi-eretta, strafottenza al palo e occhi sbarrati ed incavati allo stesso tempo di chi si è imbattuto nella fine ed ha l’aria incredula del dopo, mi dirigo in stazione per quella che dopo tutto è una giornata di quelle giornate che ti senti fortunato.
Sacchetto di gnocchi congelati sul bozzo compreso.